Descrizione
CD Prima edizione con confezione digipack.

Too Heavy To Fly
C’è da fare, prima d’ogni successivo discorso e disquisizione, un’importante quanto fondamentale premessa: parlare dei Vanexa equivale a parlare della Storia del Metal italiano. Una formazione, quella ligure, che non avrà avuto la continuità / fortuna dei ben più blasonati Vanadium, Death SS o Strana Officina.. ma che, a conti fatti, è stata fra le primissime (se non la prima, a detta di molti) a proporre un certo tipo di sound in tempi non sospetti, nella nostra penisola. Compiamo dunque un piccolo balzo indietro, per donare a tutti i nostalgici la possibilità di versare qualche lacrima di commozione, pensando ai tempi passati; e perché no, per fare in modo che i più giovani sappiano (e credetemi: è fondamentale) chi prima di loro calcava il palcoscenico. E continua tutt’oggi a farlo. Visto che, arrivati nel 2017, siamo qui a parlare di un bel prodotto come “Too Heavy To Fly”, quarto figlio della formazione capitanata dai sempiterni Sergio Pagnacco e Silvano Bottari. Attivi dal 1979 e per nulla intenzionati (fortunatamente, visto che non ce ne sarebbe né bisogno, né motivo alcuno) ad attaccare al proverbiale chiodo i loro strumenti. Anzi, se proprio vogliamo parlare di chiodi.. quello dei Vanexa non è mai stato riposto in alcun armadio. E’ ancora lì, indosso, e fieramente. Sin dal 1979, appunto, anno in cui la band decide di muovere i suoi primi passi nel mondo del Rock più duro ed impertinente. Sono gli anni dei ruggiti anglosassoni, della N.W.O.B.H.M., gli anni del metallo nella sua forma più pura ed incontaminata. Anche l’Italia, così come il resto del mondo, non era stata indifferente al fascino del Metal e dell’Hard Rock: a cavallo dei ’70 e degli ’80, anche la nostra penisola conobbe infatti il fascino selvaggio della musica ribelle. Deep Purple e Led Zeppelin prima, Iron Maiden, Judas Priest e Saxon subito dopo. Un mix di rabbia primordiale, fascino sovversivo, letale passionalità. Un genere che stregò i giovani liguri e li portò quindi a voler proporre un qualcosa che fosse tutto loro, firmato Vanexa; e che assumesse come supremo ipse dixit la scuola d’Albione, maestra di vita e di musica. Non passò molto tempo, e subito le prime soddisfazioni iniziarono a piovere come neve dal cielo, in un giorno di tormenta. Il calendario segna una data importante, il 1983: anno in cui il gruppo presenza come headliner allo storico “Rock in a Hard Place”, meglio noto come “Festival di Certaldo”. Evento cruciale della storia Metal tricolore. Un primissimo, importante festival ospitante il meglio del meglio, il gotha dell’acciaio italico. I già citati Death SS, la Strana Officina, i grandissimi Raff, gli Steel Crown.. ed i nostri Vanexa, posti sul gradino più alto. Una prestazione, la loro, che infiammò il “Teatro Tenda” della cittadina toscana, ponendoli come realtà assolutamente affermata della scena. Il 1983 fu inoltre l’anno del loro debutto; di quello, come accennavo ad inizio articolo, che da molti viene definito il primo album Heavy Metal mai rilasciato in Italia. Battendo al fulmicotone “Metal Rock” dei Vanadium, ancora legato a sonorità più tendenti ad un certo tipo di Hard Rock, fortemente debitrici nei riguardi di formazioni “blackmoriane” come Deep Purple o Rainbow. Il clima che invece si respira, ascoltando “Vanexa” (debutto omonimo), è di tutt’altro genere. Velocità, potenza, riff al fulmicotone.. un vero e proprio assalto “priestiano”, pesante ed incontenibile. La formazione dell’epoca contava i seguenti membri: Marco Spinelli alla voce e Roberto Merlone alla chitarra, oltre ai già citati Pagnacco e Bottari (rispettivamente basso e batteria). Una carriera che avrebbe potuto viaggiare a vele spiegate.. e che, invece, si ritrovò immersa suo massimo malgrado in acque tempestose. Al solito, fu la mancanza di organizzazione e di tutela delle nostre band, ad interrompere un cammino così promettente e sfolgorante. Il secondo (per altro, convincentissimo) disco dei Vanexa vide infatti la luce dopo ben cinque anni dell’uscita del primo full-length, di fatto “raffreddando” il clima. “Back From The Ruins”, un “nomen omen” che segnò il ritorno dei nostri liguri sulla scena, dopo tante peripezie. Nuova etichetta (dalla “Durium” alla “Minotauro”), stessa voglia di fare, di urlare al mondo la propria presenza. La discontinuità delle nuove uscite, però, sarebbe continuata imperterrita. Per stringere fra le mani un terzo album dei Vanexa, infatti, i fan dovettero aspettare altri cinque anni.. più uno, sei in totale. Il 1994 fu l’anno dei cambiamenti: da un lato, l’abbandono di Marco Spinelli, presto sostituito da Roberto Tiranti; di seguito, un sensibile rimaneggiamento del sound, il quale passò dall’Heavy diretto e veloce verso un Hard n’Heavy di fattura molto più easy listening. Insomma, “Against The Sun” (questo il titolo del disco) passò leggermente in sordina, di fatto non potendo più contare sull’ondata di entusiasmo che aveva spinto i liguri dieci anni prima. Piccola parentesi, un disco che comunque vi invito a recuperare ed ascoltare. Ne vale la pena, garantito. Tornando alla storia, dopo il 1994 si assiste ad un progressivo “rilassamento” degli animi. La band decide infatti di fermarsi, ritenendo di aver completato parte del suo percorso, lasciando momentaneamente libera la scena dalla sua presenza. Un arrivederci che, fortunatamente, non si tramuta in un addio. Visto che nel 2009 il gruppo torna in pista, deciso a riprendere da dove aveva lasciato. Si ricomincia pian piano, deliziando i fan con un duo di uscite atte a celebrare il passato; tenendo però sempre d’occhio il presente. Il 2010 vede dunque il licenziamento di “1979-1980”, compilation celebrante il primissimo periodo dei Vanexa, quello dei primi demo e del cantato in italiano. Una raccolta di brani suonati dalla formazione storica, con alla voce i primi due cantanti in forze nel combo ligure, prim’ancora di Spinelli. Parliamo nella fattispecie di Alfio Vitanza e di Fabrizio Cruciani (quest’ultimo anche in forze, per un periodo, nei Crossbones). Si riprende poi l’attività on the road, ed ecco che nel 2011 abbiamo la pubblicazione del primo album live dei Nostri, intitolato “Metal City Live”. Formazione accreditata: Bottari, Pagnacco, Tiranti e la coppia d’asce Artan Selishta / Alessandro Graziano. Giungiamo così al 2016, che vede appunto l’uscita di “Too Heavy To Fly”, finalmente un disco nuovo ed arrembante, inedito. Dimostrazione del fatto che i Nostri, esperti guerrieri e veterani dell’acciaio tricolore, sono ancora in pista più volenterosi che mai, per nulla decisi a campare di rendita o ad adagiarsi sugli allori. Un ritorno deciso e decisivo, che ha sin da subito scosso gli animi, in concomitanza poi con la recente ondata di “neoentusiasmo” (mi si passi il “neologismo”) che ha coinvolto il Metal più classico, riscoperto da tanti e tornato prepotentemente in auge. Complice l’operato sempre preciso e puntuale della “Punishment 18”, dunque, entità patrocinante il ritorno dei Nostri, possiamo goderci un nuovo disco dei Vanexa. Arrivato ben ventidue anni dopo “Against The Sun”, ma sicuramente più duro e prepotente del predecessore. Si registrano due importanti cambi di line-up: in “Too Heavy..”, infatti, troviamo alla voce Andrea Ranfagni, mentre alla chitarra (ad affiancare Selishta) riscontriamo la presenza nientemeno che Pier Gonella, già in forze in gruppi come Necrodeath e Mastercastle. Le premesse perché questo disco si riveli sicuramente un gran bel lavoro, dunque, ci sono tutte. A cominciare da una grafica decisamente piacevole, molto fumettistica (a cura di Kabuto, del “Kabuto Art Lab”) ed accattivante, la quale vede un aereo da guerra schiantarsi al suolo. “Troppo pesante per volare”. Sul “Too Heavy” siamo d’accordo. Del resto, ben poche realtà (in questo paese) risultano più “Heavy” dei Vanexa. Sul “..to fly”, invece, riservo qualche dubbio. I Nostri hanno dimostrato di saper volare a velocità supersonica, ed anche molto bene, nel corso della loro storia. Non ci resta altro da fare che salire a bordo e verificare di persona. Let’s Play!